Mondo Scuola
Inclusione ed integrazione del disabile nel mondo scuola

Sono una pedagogista-docente e mi occupo di formazione oramai da diversi anni. Troppo spesso però vedo una situazione che non posso più tacere, anche se non è la prima volta che ne parlo.

Sono molto indignata per la facilità con cui i nostri bambini vengono giudicati e “torturati” psicologicamente. E non sto esagerando! Perché la tortura non è solo quella fisica, ma anche e ai nostri giorni soprattutto, quella psicologica.

Viviamo in una società molto superficiale, dove i tempi frenetici e la poca pazienza che abbiamo nei confronti dei nostri bambini e delle nostre bambine, ci spingono a conclusioni affrettate sulle loro potenzialità e capacità cognitive, purché ci sollevino dall’incombenza di seguirli negli studi.

Troppo spesso i genitori mi portano i loro figli emotivamente avviliti, psicologicamente affranti, demotivati e senza più la minima autostima di se stessi.

Arrivano da me dicendomi che il loro bambino o la loro bambina ha difficoltà nello studio; che piange perché non vuole studiare; che non vuole andare a scuola. Me li portano dicendomi che l’insegnante gli ha detto che sicuramente ha qualche problema cognitivo, e quando arrivano da me hanno già fatto percorsi con il logopedista e il più delle volte, il medico, gli ha certificato un ritardo nell’apprendimento.

Ma sapete una cosa? Nel 99% dei casi, il bambino o la bambina non ha niente, recuperando nel giro di un anno scolastico tutte le carenze!

Mi sono chiesta più volte se voi vi foste mai domandati come reagiscono i vostri figli a tutte queste chiacchiere non vere sulla loro capacità di apprendimento. Vi siete mai chiesti cosa provano? Come stanno? Cosa pensano di tutte quelle ricerche mediche e quelle esercitazioni alienanti, ai quali vengono sottoposti anche solo perché hanno una pessima scrittura? Vi siete mai chiesti guardando la calligrafia di un medico se anche lui fosse disgrafico?

Ve lo dico io cosa pensano i nostri figli! Pensano di essere inferiori, di essere diversi, stupidi, non capaci come i loro compagni di classe. E la loro psiche lentamente cambia e diventa brutta. Perdono la loro autostima, diventano tristi, paurosi e a scuola non rendono più, non si sentono capaci e si convincono di non riuscire negli studi; dentro di loro si domandano perché devono continuare a studiare; perché devono andare a scuola, a cosa serve… perché la scuola non brucia!

Io sono molto indignata! con insegnanti impreparati nella didattica che si sentono in diritto di diagnosticare senza averne la competenza.

Sono molto indignata! con la connivenza dei medici psichiatri che devono trovare necessariamente un’anomalia in un bambino che ha solo bisogno di essere rispettato nei suoi tempi di apprendimento, mentre la loro diagnosi è basata su statistiche (vi ricordo che Albert Einstein ha mostrato la sua genialità solo all’università, risultando terribilmente carente in tutti i precedenti corsi di studi, soprattutto in matematica; e nonostante oggi si dica che fosse dislessico, niente e nessuno allora, fortunatamente, gli ha impedito di credere in se stesso e di diventare ciò che tutti noi conosciamo). Vogliamo parlare dei logopedisti? Che uccidono il pensiero del bambino tediandolo con tanti esercizietti che allontanano sempre più il piccolo dalla scuola? E tutto questo pur di non ammettere che quel paziente non ha bisogno del loro aiuto, ma solo di una efficace didattica che loro ignorano completamente.

Ma è tutto un sistema di scarica barile: l’insegnante ai genitori, i genitori al medico, il medico al logopedista e il logopedista sul problema diagnosticato dal medico che purtroppo si può migliorare, ma non curare; e non c’è la cura semplicemente perché non c’è la malattia!

Ma sono indignata anche con voi genitori! Che non avete la pazienza di ascoltarli i vostri figli; che li imboccate come se fossero sempre piccoli, senza svezzarli nel rapporto e nella loro continua e costante crescita di competenze. E questo è un errore grave, molto grave, perché non permettete loro di crescere, di sviluppare indipendenza, di conquistarsi quel pezzettino di mondo a scuola, che solo a loro appartiene.  Non avete voglia di seguire e capire i cambiamenti che la scuola li costringe a sviluppare, non avete la voglia di capire che il vero problema potrebbe essere nel rapporto con voi, con la maestra o con i compagni di classe. Perché è così: quasi sempre il problema scolastico ha le sue profonde radici nel rapporto umano.

Allora non distruggiamo la mente e la vitalità dei nostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di valutare il vostro rapporto, di considerare quello che la maestra ha con vostro figlio o vostra figlia, prima ancora di intraprendere un percorso diagnostico, che in quanto tale, nella mente del bambino, riporta sempre e comunque a una malattia e quindi a una diversità dai compagni di scuola. Ricordandovi inoltre che oggi, quella che viene comunemente definita dislessia, il più delle volte è un abuso di terminologia e medicalizzazione su bambini sanissimi per questione di business. Non confondiamo le difficoltà didattiche e di rapporto con la scusa della malattia, una malattia che nessuno ha organicamente riscontrato e che si basa solo su statistiche. Eviteremo così di crescere bambini insicuri, ribelli, aggressivi, svogliati, tristi, spaventati e senza autostima.

 

Dr. Tiziana Cristofari

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http://www.figlimeravigliosi.it/2014/10/ecco-come-distruggiamo-la-mente-dei.html 

Voglio solo formulare alcune domande che la famiglia dovrebbe porsi sostituendole a quelle sulla matematica o sulla storia. Dovrebbe chiedersi quali sono i desideri di quel figliolo, quale rapporto ha stabilito con i compagni e, in particolare, come egli viva la relazione dentro il gruppo dei pari età. Dovrebbe ancora domandarsi come egli percepisca i propri genitori, se all’interno di un rapporto affettivo o se non siano ridotti a cerberi con cui doversi confrontare attraverso menzogne. Chiedersi se egli non sia giunto ad applicare la strategia del doppio binario o della doppia vita, per cui ogni cosa ha una versione a casa, una diversa fuori di casa e magari una terza a scuola. Uno sdoppiamento o una triplicazione di comportamenti per adeguarsi alle situazioni differenti. Tutto questo viene ignorato mentre padre e madre diventano una succursale della scuola e i temi familiari sono sostituiti dalle guerre puniche o dal secondo principio della termodinamica che pone in serio pericolo la promozione in fisica. Credimi, non se ne può più di giudizi scolastici che passano poi dentro la famiglia e la fanno sentire a sua volta giudicata dalla scuola, come se il problema la riguardasse direttamente, e così tutto gira attorno alla scuola del giudizio, dell’invasione. Voglio essere chiaro: niente giudizio, niente compiti a casa. E non deve sembrarti una presa di posizione utopica e magari rivoluzionaria, semplicemente è coerente con un passaggio di prospettiva dal singolo alla classe come centro del tuo lavoro e dal limitarsi a inculcare la tua materia all’insegnare invece a vivere attraverso gli strumenti propri della scuola in cooperazione con altri istituti, la famiglia in primis. Adesso però per simmetria devo accennare alle interferenze che la famiglia esercita sulla scuola e sono altrettanto pedanti e guidate dal successo parziale o mancato del proprio figlio, in quella scuola, dentro quella classe. Se ottiene un giudizio eccellente, la famiglia non cercherà alcun contatto con la scuola: si limiterà a recitare ovunque il merito del figlio che è anche merito della famiglia che trasmette l ‘amore della cultura e il senso del dovere. Se invece il giudizio è negativo o insoddisfacente, allora il legame famiglia-scuola si attiva e gli incontri tra gli insegnanti e i familiari mostrano il dissenso per come è valutato il ragazzo: seguendo strategie diverse. La strategia di attacco è di solito messa in atto dalle famiglie borghesi, con buon livello economico: gli insegnanti sono visti come persecutori dei figli. La strategia del lamento è propria di famiglie economicamente emergenti che vedono nella scuola la pedana per il riscatto sociale del figlio: riconoscono che non ha reso, ma che è necessario considerare la sua salute fragile, a cui si aggiunge sullo sfondo il soffio al cuore del padre o una nonna moribonda. Fanno promesse di recupero e si sostituiscono al figlio come se fosse lui ad avere deciso di vivere da trappista da quell’incontro in poi. La terza strategia è quella della famiglia che non è attenta alla scuola e che anzi considera il periodo dell’insegnamento dell’obbligo come una disgrazia poiché impedisce di utilizzare il figlio per raggranellare in qualsiasi modo qualche euro migliorando così il basso tenore di vita. Una famiglia in cui il figlio è ridotto a possibile forza di guadagno e, anche se è poco, è sempre molto rispetto al nulla e alla perdita di tempo a scuola. La quarta strategia non esiste, mentre dovrebbe essere la sola accettabile. Mi riferisco alla famiglia che incontra gli insegnanti per parlare con loro del piano educativo, per ipotizzare una collaborazione su alcuni temi in cui la famiglia fatica a ottenere dei risultati, mentre forse con l’ausilio della scuola le cose potrebbero andare meglio. Un incontro per valutare la percezione che il figlio ha dell’autorità; per considerare la sua introversione o l’eccessivo bisogno di protagonismo; per individuare quei punti in cui sarebbe bene coordinare l’azione educativa, poiché i limiti che un insegnante può intravedere riguardano gli affetti su cui la famiglia ha strumenti più efficaci, mentre la scuola può facilitare la soluzione di difficoltà che si manifestano a casa. L’insegnante deve svolgere il proprio impegno dentro la scuola, il padre e la madre dentro la famiglia, e tutti si devono incontrare per mettere a punto strategie e piccoli interventi che aiutino il processo globale dell’educazione. Credo che siano utili i Consigli di classe dei docenti, perché si possono raccogliere e scambiare osservazioni da punti di vista differenti e si possono fare paragoni tra il comportamento del singolo e della classe nei confronti di questo o quell’insegnante. Una collaborazione aperta permetterebbe di coordinare gli interventi che sono sempre diretti a insegnare a vivere, il che prevede il rispetto delle regole, la percezione del gruppo come unità e come solo elemento sottoposto a giudizio. Ma ora voglio rientrare dentro la classe per esprimere il mio parere sui tuoi alunni, o meglio su alcune caratteristiche che li evidenziano rispetto agli alunni che magari avevi solo qualche anno fa.

 

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http://www.iacpignataromaggiore.it/caro%20insegnante%20Stralcio%203.pdf

Luglio 9, 2014 Margherita Pellegrino

Lettera di una professoressa «sbigottita» dalla tendenza del nostro sistema educativo ad attribuire ogni difficoltà degli alunni a ipotetici disturbi mentali. Le nostre scuole stanno diventando ospedali psichiatrici?

Riceviamo dalla professoressa Margherita Pellegrino, insegnante a Segrate (Mi), e pubblichiamo

Egregio Direttore, sono rimasta sbigottita: «Oltre 90 mila alunni con DSA tra gli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012 , 24.811 certificazioni in più (+37 per cento). L’incremento più significativo alle superiori, il numero più alto di studenti alle medie» (Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca).

Un trend in salita come si evince anche dall’allarme che è stato lanciato a Pisa: «La dislessia rischia di diventare un’emergenza sociale. Nel 2013 all’ ASL 5 sono arrivate 530 richieste di valutazione per DSA che hanno confermato 343 diagnosi. In pratica, si è registrata una richiesta di diagnosi ogni circa 641 persone e un caso di Dsa ogni 990 abitanti» (OrizzonteScuola.it)

Da quando è stata approvata la legge 170/2010 sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, i DSA sono entrati ufficialmente nella scuola segnando una svolta nella didattica, e questi ne sono i risultati.

Sono aumentati i corsi di aggiornamento ai docenti per indottrinarli sull’esistenza e individuazione di questi disturbi, così la soluzione agli errori commessi dagli alunni in fase di apprendimento, non è individuarne la causa, correggerli e far fare esercizio, come facevano i nostri insegnanti, ma indirizzare il genitore dell’alunno dal neuropsichiatra per una valutazione di DSA sul figlio e questo alla fine della seconda elementare, quando non viene fatto già nei primi anni della scuola dell’infanzia.

Attribuire gli errori dell’alunno ad un “disturbo” dovuto ad ipotetici “difetti di migrazione cellulare” secondo gli esperti, ma poi fare diagnosi attraverso test di lettura, scrittura che ben poco hanno di scientifico, dire ad un bambino che il suo cervello non è come quello di tutti gli altri sulla base della lettura di una lista di parole, lista di non parole , di un dettato, di risposte alle tabelline, calcolandone i tempi di esecuzione, non sono cose da poco. Dire che di questi disturbi non si guarisce, che non sarà mai in grado di leggere e/o scrivere e fare i calcoli correttamente significa inculcargli l’idea di incapacità, significa negargli la vera istruzione: non insegnargli a leggere, scrivere e far di conto, che è la funzione primaria della scuola elementare.

Basta che un’insegnante non sappia insegnare per creare un alunno DSA.

Non si va ad indagare sui metodi didattici utilizzati dall’insegnante. Una delle cause di così tanti errori e difficoltà degli alunni è stata individuata, ad esempio, nel Metodo Globale, ora utilizzato da molti maestri nella scuola elementare; le classi pollaio vanno bene: è l’alunno che è affetto da “disturbi”.

Nel Manuale Statistico e Diagnostico, il testo utilizzato per le diagnosi delle malattie mentali, dove tra l’altro sono riportati anche i DSA, tutte le malattie sono indicate come disturbi, quindi di che cosa stiamo parlando?

Nel solo 2011 sono stati erogati ben 705.308,81 euro da Enti Pubblici (istituti scolastici, ASL) all’Associazione Italiana Dislessia per attività formativa (Bilancio AID 2011). «Presso strutture private alcuni genitori hanno speso anche 1000 euro per una diagnosi DSA» (AID, comumicato stampa, marzo 2012).

Una seduta dallo psicologo o logopedista costa circa 80 euro, in alcune regioni viene anche riconosciuta agli alunni DSA un’indennità di frequenza, un disborso mensile di 238,00 euro più 10 euro per ogni corso riabilitativo frequentato, oltre all’aumento degli assegni familiari. Che cosa sta venendo finanziato? In che cosa sta investendo la scuola? In 90 mila alunni certificati DSA esclusi dalle prove INVALSI, perché la loro partecipazione avrebbe abbassato la media nazionale dei risultati delle prove?

Il problema è didattico e la soluzione è nella didattica.

Se 20, 30, 40 anni fa qualcuno avesse acceso i fari sui nostri errori e comportamenti, a quanti di noi e dei nostri compagni sarebbero stati diagnosticati DSA o ADHD? Eppure ce l’abbiamo fatta, le nostre carriere non sono state stroncate, i nostri sogni non sono stati buttati nella spazzatura.

Quella che è stata fatta è una Riforma strisciante della Didattica, studiata astutamente, e supportata da un accurato piano di marketing. Come è stato apertamente dichiarato dagli stessi artefici di campagne mediatiche che hanno portato all’approvazione di questa legge in uno dei tanti convegni sul soggetto: «In realtà siamo indietro con la comprensione di quelli che sono i disturbi specifici dell’apprendimento… la teoria che aiuta a capire è ancora tutta da costruire tuttavia la legge ci ha dato questa opportunità cioè di cambiare la cultura… ci sono sicuramente poche scuole che giudicano bene il cambiamento della didattica ma sono convinto… che con il contributo di tutti questo percorso di cambiamento culturale sarà rapido e non ci vorranno troppe generazioni» (2° convegno nazionale scuola e DSA: riflessioni e proposte).

Bisogna fare un passo indietro su questa legge se non vogliamo creare un generazione di incapaci, insicuri, ignoranti e facilmente manovrabili, come ha scritto Frank Furedi, Professore di Sociologia: «Se l’attuale tendenza continua, presto ci sarà poca differenza tra una scuola e una clinica per malattie mentali… se consideriamo le sfide della vita come un’esperienza cui i bambini non possono far fronte, i ragazzi raccoglieranno il messaggio e le considereranno con terrore. Tuttavia, se la finiamo di giocare a fare il dottore ed il paziente e aiutiamo invece i bambini a sviluppare la loro forza attraverso l’insegnamento creativo, allora i piccoli inizieranno a tener testa alle situazioni… proteggere i bambini dalla pressione e dalle nuove esperienze rappresenta una mancanza di fiducia nel loro potenziale di sviluppo attraverso nuove sfide». (F. Furedi, The Express, 20 maggio 2004).

Prof.ssa Margherita Pellegrino

 

Fonte

http://www.tempi.it/scuola-diagnosi-dsa-figli-tutti-dislessici-insegnanti#.VuXyYfnhCUl

Il Miur conferma le anticipazioni di OrizzonteScuola.it: sono in dirittura d’arrivo la pubblicazione dei bandi del nuovo concorso per docenti previsto dalla legge Buona Scuola.

Dopo il Piano straordinario di assunzioni della scorsa estate, prosegue l’operazione di immissione in ruolo degli insegnanti a copertura dei posti vacanti avviata dal Governo. Oggi al Miur si è svolta l’apposita informativa sindacale. Sono confermati i 63.712 posti totali, di cui 57.611 comuni rrelativi, cioè, alle varie discipline) e 6.101 di sostegno.

Nel dettaglio, i posti per grado sono:

– Infanzia 7.237 (6.933 comuni e 304 di sostegno)

– Primaria 21.098 (17.299 comuni e 3.799 di sostegno)

– Secondaria di I grado 16.616 (15.641 comuni e 975 di sostegno)

– Secondaria di II grado 18.255 (17.232 comuni e 1.023 di sostegno)

A questi si aggiungono 506 posti relativi a tutti i gradi di istruzione che saranno banditi sulla nuova classe di concorso A023, quella relativa all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda. Il Ministero ha anche fornito i dati (in allegato) relativi ai posti banditi per classe di concorso.

I bandi saranno tre: per infanzia e primaria, secondaria di I e II grado, sostegno. Il bando per il sostegno è del tutto inedito. Confermata l’assenza della prova preselettiva. Si procederà con lo scritto che si svolgerà interamente al computer.

Lo scritto prevede 8 domande sulla materia di insegnamento di cui 2 in lingua straniera (inglese, francese, tedesco o spagnolo, obbligatoriamente l’inglese per la primaria).

I quesiti saranno: 6 a risposta aperta (di carattere metodologico e non nozionistico) e 2 (quelle in lingua) a risposta chiusa. Le due domande in lingua prevedono, in particolare, cinque sotto-quesiti, ciascuno a risposta chiusa. Il candidato dovrà dimostrare di avere un livello di competenza pari almeno al livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue. Lo scritto avrà una durata di 150 minuti. Mentre sono previsti 45 minuti per l’orale: 35 per una lezione simulata e 10 di interlocuzione fra candidato e commissione. Nella valutazione dei titoli si valorizzeranno, fra l’altro, i titoli abilitanti, il servizio pregresso, il dottorato di ricerca, le certificazioni linguistiche.

Le funzioni per l’iscrizione al concorso saranno aperte alla fine del mese di febbraio. Il Miur sta predisponendo un mini-sito web dedicato al concorso dove si potranno reperire tutte le informazioni utili e da cui si potrà accedere direttamente alla domande di partecipazione al concorso. Il sito sarà disponibile al momento della pubblicazione dei bandi.

Sintesi nazionale numeri per classe di concorso

Slide concorso

L’archeologo e storico dell’arte contesta l’indirizzo della scuola e dell’università di oggi. E difende gli insegnanti, l’ozio creativo, e la storia come riserva di possibilità per il futuro.

Studi sempre più specializzati. L’acquisizione di “competenze” sempre più precise che seguano le esigenze del mercato del lavoro. Studenti che escono dall’università (o anche dalle superiori) in possesso di una professionalità spendibile subito. Sono questi i desideri proibiti di chi frequenta le scuole, oltre che il totem retorico degli addetti alla cultura, dai ministeri ai dirigenti scolastici (con quali risultati poi è un’altra storia, di cui abbiamo cercato di parlare nello speciale di questa settimana su Linkiesta).
Ma c’è un ma: siamo sicuri che sia la strada giusta? Sicuri di essere consegnati alle varie specializzazioni e alle tecnicità sia l’unico modello culturale sensato? «Bisognerebbe ricordarsi più spesso di un aforisma di Goethe, che dice più o meno così: “Le discipline di autodistruggono in due modi, o per l’estensione che assumono, o per l’eccessiva profondità in cui scendono”» racconta a Linkiesta.it Salvatore Settis. Archeologo e storico dell’arte, già direttore della Normale di Pisa, dimessosi qualche anno fa dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali in polemica coi tagli alla Cultura del governo Berlusconi, Settis è ora in prima linea nella difesa di paesaggio e monumenti italiani. «Bisogna trovare un equilibrio tra lo specialismo e la visione generale -spiega-. La tendenza che si sta affermando nei sistemi educativi un po’ in tutto il mondo, ma in particolare in Italia è educare a “competenze” piuttosto che a “conoscenze”»

Fatti non fosti a viver come bruti, ma per seguir virtute et competenza?

Ecco, è un’idea perversa sostituire la parola “conoscenza” con “competenza”, come è stato fatto dai pedagogisti alla nostrana, consultati da Berlinguer e dalla Moratti in poi per le loro pessime riforme scolastiche. Abbiamo bisogno di persone con uno sguardo generale. Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole. Ci vuole una visione collegata col senso della comunità (come del resto è scritto nella nostra Costituzione, che stiamo via via dimenticando).

Competenza vuol dire possedere oggetti conoscitivi e capacità. Conoscenza vuol dire farsi modificare dalle cose che si incontrano, giusto?

E poi non c’è conoscenza senza sguardo critico, cioè senza il dubbio. La scuola ci insegna delle cose, ma dovrebbe soprattutto insegnarci a dubitare di quello che essa stessa ci insegna.

E invece?

Il modello dell’educazione di oggi è quello di Tempi moderni, di Charlot che fa l’operaio e esegue un solo gesto: prendere la chiave inglese e girare un bullone. L’ideale del nostro bell’ideologo-intellettuale-riformatore dell’educazione è proprio “formare” qualcuno che fa una sola cosa, e la fa senza pensare. Un modo di mortificare la ricchezza della natura umana. E la democrazia viene uccisa.

A proposito di non-specialismi: quanto è stato importante per lei leggere disinteressatamente, senza un fine di studio. Così per piacere, e per avventura?

E’ essenziale per tutti. La curiosità intellettuale è il sale della formazione. Guai se uno dovesse leggere i libri o guardare i film che qualcuno gli ha ordinato di guardare o di leggere. Tutti inseguiamo delle curiosità senza scopo. E lo facciamo anche con gli esseri umani: se a una cena c’è una persona interessante ci parliamo. Così dobbiamo fare anche coi libri o con la formazione.

Cosa ne pensa degli slogan che erano cominciati con Berlusconi (“Inglese, impresa, internet”) e che proseguono con Renzi (“La buona scuola”)?

L’uno e l’altro slogan sono stati usati in modo superficiale e cinico per sostituire la sostanza. L’etichetta del brandy di lusso mentre nella bottiglia c’è quello del discount. Stesso discorso per il nostro presidente del Consiglio che ama la “Narrazione”. Narrare (in altri termini: raccontare balle) per persuadere gli ingenui. Basta parlare con qualche professore per accorgersi che la cosiddetta “buona scuola” non è una scuola buona: sono in condizioni di grave difficoltà da tutti i punti di vista.

Ecco, al di là dei problemi di reclutamento e del trattamento economico. I professori ormai sono perennemente ingolfati di carte: schede di valutazione, moduli da riempire, piani formativi. Sembra quasi un controllo burocratico-contenutistico kafkiano sul loro lavoro. Cosa ne pensa?

Questo è un punto vitale, per tutte le categorie di professori: elementari, medie, superiori. E anche quelli universitari. E qui c’è un paradosso…

Ci dica…

La burocratizzazione del mondo avanza mentre gli stessi governanti continuano a dirci che stanno facendo una lotta dura e senza paura contro la burocrazia. Il fatto di dover riempire mille moduli, dover scrivere mille sciocchezze: è come se non ci si fidasse della responsabilità dell’essere umano. Un professore si giudica dai risultati, da come fa lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca. Che poi viene spesso valutata male.

Perché?

L’Amvur valuta gli articoli senza leggerli. Se esce in una cosiddetta rivista di serie A viene valutato bene, se no niente. E’ una sciocchezza: molti ottimi articoli specialistici escono in riviste di serie B o di serie C. Questo è un modo di ragionare che può uccidere la ricerca unversitaria

Si dice che gli insegnanti abbiano troppe vacanze, che ne pensa?

Il lavoro intellettuale non si può quantificare o conteggiare. Tra i famosi “otium” e “negotium” non c’è soluzione di continuità. Un insegnante non deve essere valutato in base alle ore che fa di lezioni frontali. Chi le prepara? E il tempo che uno ci mette a prepararle chi lo conteggia?

Eh, chi lo conteggia?

Nessuno lo può conteggiare, appunto. Ma si rende conto che col sistema assurdo dei crediti formativi all’università si pretende di conteggiare il tempo che ci vuole a imparare un certo libro? Magari un libro di cento pagine io lo posso imparare in due ore e lei in mezz’ora. Abbiamo un sistema di valutazione che mortifica la diversità tra gli esseri umani. Valutare in base alle ore presunte è una solenne sciocchezza. Questa è la vera perversione che sta facendo danni enormi, e ne farà sempre di più.

Va per la maggiore un modello culturale, un paradigma tecnico-scientificizzante, 2.0, 3.0, 4.0 secondo cui il passato è qualcosa di evitabile. E’ inutile. Sono “nevi dell’anno scorso” come diceva Francois Villon. Ecco, professor Settis: a cosa serve il passato?

Il passato delle comunità, cioè la Storia, serve esattamente alla stessa cosa a cui serve il passato dell’individuo. A quelli che dicono che il passato non serve a nulla vorrei proporre di essere sottoposti all’espianto del proprio cervello, in modo che non sappiano più chi sono, chi sono i genitori, cosa hanno fatto prima. Il nostro presente, le parole che usiamo anche per fare conversazione, ora, vengono dal nostro passato. Anzi da un passato che non è solo in nostro: noi due in questo momento stiamo parlando in una forma molto modificata di latino. La realtà è costruzione del futuro nel presente usando ingredienti che vengono dal passato. Se ignoriamo questo siamo culturalmente morti.

Il passato non è nostalgia o atteggiamento reazionario, ma è una forza critica per non essere schiacciati dalle ideologie, per non finire come “generazioni di neoprimitivi” di cui cantava Battiato in Shock in my town?

Pierpaolo Pasolini usava una formula bellissima: “La forza rivoluzionaria del passato”. E’ un serbatoio di possibilità, di idee. Capiamo che c’erano in Toscana delle città stato, e a un certo punto Firenze si è imposta ed è diventa la capitale del Granducato. Ma non è impensabile che si imponessero altre famiglie sui Medici, e magari venisse fuori un granducato con capitale Siena, o Pistoia, o Pisa. Dante ha finito la Commedia ma poteva non finirla.

Trovare le possibilità inespresse in quello che è successo, per proporre qualcosa di diverso nel presente?

Il passato ci svela le alternative. E’ la possibilità di vedere il mondo sulla base di una visione laica e generosa della società.

Isadora Duncan ha inventato i suoi passi di danza guardando i dipinti vascolari greci. Lei, che non balla, ma fa l’archeologo e lo studioso, ha allestito una mostra di arte antica alla Fondazione Prada. Più che la conoscenza puntuale di una serie di procedure e strumenti già pronti serve immergersi in quello che la storia ha suggerito senza svelarlo del tutto?

Ho cercato di rispondere all’invito di Miuccia Prada con una mostra di arte antica su un tema contemporaneo: la serialità. Sono arrivati artisti contemporanei convinti che l’arte antica non potesse dire più nulla, ed erano stupiti di come queste statue ancora abbiano da dire. Usiamo in continuazione ingredienti che arrivano dal passato anche se non ce ne accorgiamo. Il passato è libertà.

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http://www.linkiesta.it/it/article/2016/02/07/salvatore-settis-la-buona-scuola-non-e-buona-e-le-competenze-non-servo/29179/

Rivoluzione ICF: in arrivo le linee guida per l’inclusione, mentre va avanti la sperimentazione sui BES. Piemonte finora unica regione che rilascia le nuove certificazioni. Formazione dei docenti curricolari: molto bene in particolare la Puglia. Quasi al via i corsi di specializzazione per il sostegno, con 300 ore di tirocinio. A breve online un portale per reperire materiali didattici ed esperienze.

L’integrazione degli alunni con disabilità è uno dei pochi fiori all’occhiello del sistema d’istruzione italiano. Si stenta a crederlo se non si ha familiarità con la materia, ma a tutt’oggi in paesi come la Francia o la Gran Bretagna o la Germania l’inclusione dei portatori di handicap inizia a compiere solo i primi passi ed è ben lungi dal diventare quella che da noi è prassi quotidiana da più di trent’anni. Dopo i fondamentali traguardi degli anni ’70 (risalgono a quel decennio leggi come la 517/77, che finalmente sancisce il diritto alla frequenza scolastica), dopo la legge n.279/82 che istituisce la figura del docente di sostegno (sostegno alla classe, e non al disabile) e la fondamentale legge-quadro 104 del 1992 (per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sta andando in scena proprio in questi mesi un’altra rivoluzione nella progettazione dell’inclusione a scuola, quella che si sintetizza in due acronimi, ICF (International Classification of Functioning) e BES (Bisogni educativi speciali). L’approccio pedagogico che ci ha portati fino a qui è basato sull’idea che nell’azione educativa si deve partire da quello che la persona è o sarà in grado di fare, non da ciò che non potrà mai fare, come ci ha spiegato Marco Rossi-Doria, Sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli studenti disabili.

Ci può illustrare a che punto sono i lavori per la nuova classificazione delle disabilità? Quali saranno i tempi? Sappiamo, infatti, che il tradizionale sistema a tre caselle (deficit di vista, udito e psico-fisici) ingloba solo il 93, 94 per cento dei casi effettivamente censiti a scuola…

“La classificazione delle disabilità, anche se ha riflessi importanti sui processi di inclusione scolastica ed in particolare sulle procedure di assegnazione del sostegno, rientra nelle competenze del Ministero della Sanità. Il Miur sta seguendo una sperimentazione, a livello nazionale, per introdurre nella scuola italiana il modello ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa si basa sulla funzionalità della persona, un approccio decisivo ai fini dell’integrazione.

Il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” ha visto la partecipazione di circa 600 scuole ed una sperimentazione di durata annuale su 93 istituzioni scolastiche, finanziato con 1,7 mln di euro. Stiamo ora lavorando all’elaborazione delle relative Linee guida.

Già dal 2008 è stata sottoscritta un’Intesa, in Conferenza Unificata, per l’adozione del modello ICF di certificazione su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, solo il Piemonte – dopo due anni di sperimentazione – rilascia certificazioni in ICF. Stiamo quindi pensando di realizzare un accordo con la Regione Piemonte per estendere questa pratica anche ad altre Regioni”.

Quali saranno gli effetti positivi immediati per le famiglie e per le scuole?

“L’approccio del “funzionamento” inciderà su due diversi piani: la persona e il contesto. Rispetto al piano della persona, il punto di forza dell’ICF è che consente al piano didattico di superare un approccio basato sulle “menomazioni”, cioè su quello che la persona non può fare, per passare all’approccio, appunto, del “funzionamento”, basato sulle potenzialità e sulle capacità, su quello che la persona può fare e progressivamente imparare a fare. Rispetto invece al contesto, i suoi concetti cardine sono quelli di “barriere” da azzerare e “facilitatori” da potenziare. Il contesto è determinante per realizzare le migliori condizioni atte a favorire il successo formativo ed il benessere della persona. Quindi le scuole potranno meglio costruire un piano didattico in grado di sostenere gli apprendimenti e valorizzare le capacità di ciascuno. E le famiglie potranno sentirsi maggiormente sostenute”.

Abbiamo sentito parlare di corsi di formazione online, solo per i docenti di sostegno o anche per i docenti curricolari? Si tratterà solo di formazione a distanza?

“Il MIUR sta puntando molto sulla formazione dei docenti riguardo alle disabilità, sia attraverso la formazione in servizio che con percorsi rigorosi di formazione iniziale. C’è molta formazione in presenza, ma utilizzeremo anche quella a distanza.

Nell’ambito della formazione in servizio, ci stiamo rivolgendo non solo ai docenti di sostegno ma a tutti i docenti curricolari, sia nella scuola primaria che nella secondaria. Sono stati organizzati dagli Uffici Scolastici Regionali diversi corsi a livello territoriale. In particolare la Puglia ha coinvolto 4mila docenti in un corso di 50 ore, di cui 10 in presenza. Metteremo questa esperienza a disposizione delle altre zone d’Italia, perché ha avuto molto successo.

È stato inoltre predisposto un piano nazionale di formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nell’ambito del quale sono stati organizzati 35 master universitari grazie ad un accordo tra il MIUR e le Università presso le quali è attivo un Corso di laurea in Scienze della Formazione. I master sono stati finanziati dal Ministero – ai docenti veniva richiesto un contributo simbolico di iscrizione, dagli 80 ai 150 euro – e hanno avuto un grande successo: a fronte di 3500 posti disponibili si sono registrate oltre 12000 domande. Abbiamo quindi deciso di finanziarne una seconda edizione.

Abbiamo poi predisposto un piano di ulteriori 40 corsi di perfezionamento e master, per una platea di docenti, formati o in formazione, superiore alle 11.000 unità, su tematiche specifiche (autismo, sindrome ADHD, ritardo maturativo e mentale, rieducazione psicomotoria, disabilità sensoriali) . Queste attività partiranno già dal corrente anno accademico.

A sostegno di queste iniziative formative sarà a breve on line un portale con un’area dedicata, articolata in diverse sezioni: una comunità di pratica destinata agli insegnanti; una raccolta delle esperienze delle scuole; una rassegna degli interventi di formazione promossi dagli Uffici Scolastici Regionali; una sezione dedicata alle Università, dove saranno pubblicati materiali didattici”.

Come avverrà il reclutamento dei futuri insegnanti di sostegno? TFA per il sostegno? Dopo quello che è successo col corso ordinario, si ha paura anche solo a nominarlo il TFA…

“Nell’ambito della formazione iniziale è stato istituito il Corso di specializzazione per il sostegno, di durata annuale (60 CFU pari a 1500 ore di impegno didattico), con circa 300 ore di tirocinio. Oggi quindi per il sostegno non è previsto un TFA ma questi corsi, che partiranno nel corrente anno accademico. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti curricolari, nei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale di scienze della formazione, abilitanti all’insegnamento per le scuole dell’infanzia e primarie (partiti nel 2011), sono previsti 30 CFU (pari ad un semestre accademico) dedicati alle tematiche dell’inclusione. Stiamo puntando a percorsi rigorosi per la preparazione di tutti gli insegnanti sui temi della disabilità e dei BES e a un percorso specifico, naturalmente, per chi sceglie di specializzarsi nel sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Anche in presenza di insegnanti di sostegno, le scuole si trovano spesso in difficoltà di fronte a sindromi come quella da iperattività (ADHD) o autismo, in cui il disagio è soprattutto relazionale ancor più che didattico. Sono allo studio azioni specifiche per fronteggiare queste due emergenze? Sarebbe sbagliato pensare di coinvolgere personale fornito di competenze specifiche (per esempio gli psicologi, non solo nel ruolo di supervisori, ma anche in quello di operatori), al di fuori del canale disciplinare? Forse con un canale di accesso per competenze e non solo per titoli?

“Come ho detto in precedenza stiamo attivando 40 corsi di perfezionamento e master su questioni specifiche come l’autismo e la sindrome ADHD. Ma ci tengo a sottolineare che la presa in carico di alunni e studenti è e deve essere anzitutto operata dal personale della scuola. Sono gli insegnanti – tutti, non soltanto il personale di sostegno – che hanno la responsabilità di individuare percorsi educativi per consentire ad ogni studente di imparare le cose indispensabili ed ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppando abilità e competenze utili per la vita. E’ quindi in primis nella scuola che vanno sviluppate le competenze professionali per seguire questi ragazzi. L’apporto di professionalità esterne alla scuola può comunque svolgere un ruolo importante di supporto verso i ragazzi e le famiglie, per creare una continuità dell’intervento tra tempo a scuola e tempo extrascolastico e intervenire su singoli aspetti (psicologico, motorio, ecc) con maggiore efficacia. Per questo esistono una serie di strumenti, tra i quali gli Accordi di programma, che consentono alle scuole di operare in sinergia con Enti locali ed altri organismi, nell’ambito di procedure ben definite. Sappiamo di moltissime realtà dove la collaborazione tra istituzioni consente l’attivazione di percorsi che vedono lavorare insieme il mondo della scuola, quello della sanità e quello del privato sociale. La creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto va proprio in questa direzione, cioè di una rete di scuole polo per l’inclusione che sappia cooperare con tutti gli attori preposti alla realizzazione degli obiettivi di inclusione scolastica e sociale, con il coinvolgimento di specialisti ed esperti. La rete dei CTS, di livello provinciale (sono 105 in tutta Italia), sta per essere integrata con la rete dei CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, scuole polo situate nei distretti socio-sanitari. La rete delle scuole per l’inclusione è già operante in molte regioni (Veneto, 51 scuole; Lombardia, 68; Marche, 31; ecc.) e stiamo lavorando per estenderlo a ogni regione. I CTS forniscono anche ausili in comodato d’uso”.

Come evitare che il posto di sostegno continui a essere anche in futuro una più facile passerella per accedere al ruolo?

“Attraverso percorsi rigorosi di studio teorico, tirocini e specializzazioni, come quelli che abbiamo attivato e che in futuro dovranno essere l’unica via per accedere al sostegno. Ci vorrà qualche anno perché un sistema di formazione e reclutamento uguale per tutti entri a regime, ma questa è la strada da perseguire. Nel frattempo dobbiamo perseguire l’obiettivo della continuità didattica del personale di sostegno, così importante per il successo formativo. Il provvedimento per rendere stabili i 27.000 docenti di sostegno, facendoli accedere all’organico di diritto, che è contenuto nel Decreto Scuola in via di conversione in questi giorni, è un primo importante passo in questa direzione. Vorrei anche aggiungere che la migliore soluzione all’idea del sostegno come “ripiego” o “scorciatoia” – sempre che così si possa chiamare in certi casi – è promuovere nelle scuole la vera cultura dell’inclusione, che responsabilizza tutti e non soltanto il personale di sostegno. Ferma restando l’importanza decisiva delle competenze dei docenti di sostegno, alcune competenze sulle disabilità devono essere patrimonio di ogni insegnante ed è la comunità scolastica nel suo complesso che deve attuare una presa in carico educativa efficace nei confronti di ciascun bambino o ragazzo. Questo è l’approccio, proposto a scuole e docenti, che abbiamo indicato con la direttiva sui bisogni educativi speciali, che adesso stiamo attuando con diverse misure di accompagnamento per rendere quest’anno scolastico un anno di sperimentazione. Dunque, progressiva e costante crescita delle competenze specifiche degli insegnanti di sostegno e di quelle di tutti. E’ un approccio che consentirà alle scuole di inverare l’inclusione scolastica così come è stata pensata da una delle leggi più avanzate al mondo, quella del 1977. Dobbiamo tutti esserne consapevoli: daremo forza e continuità al nostro modello se saremo costanti nel tempo, se sapremo sostenerlo con le risorse adeguate e con la continuità nella formazione. C’è – certo – bisogno di manutenzione e impegno a tutti i livelli per garantire e difendere un approccio culturale e pedagogico, fondato sui diritti delle persone, che è un grande segno di civiltà del nostro Paese, riconosciuto nel mondo e, che proprio per il suo valore va via via migliorato lì dove è necessario”.

Oltre alle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno, nel Decreto scuola si parla di un cambiamento delle procedure di accertamento dell’handicap, attraverso l’inserimento nella commissione medica di un dirigente o di un docente. Quali saranno gli effetti di questa modifica?

“Il Decreto Scuola è proprio adesso al vaglio del Parlamento e quindi saranno le discussioni in quella sede a stabilire eventuali modifiche. Il fatto che tutta la VII Commissione della Camera – in ogni parte politica – abbia mostrato grande attenzione a questi temi è un segnale istituzionale e politico davvero importante e promettente. Rispetto alla questione delle certificazioni, esiste l’apposito tavolo paritetico tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute, che ha il compito, appunto, di monitorare la situazione e proporre interventi. E, come MIUR, intendiamo continuare nel lavoro teso a migliorare i processi di rilevazione delle risorse professionali in ogni scuola e territorio e degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali, nel rigoroso rispetto della privacy, su base funzionale e nella prospettiva dell’integrazione di ciascuno”

Il 3 Settembre sono state pubblicate le linee guida per la scuola: nel sostegno al centro sono l’inclusione e la continuità didattica

Nei giorni scorsi è stata annunciata una nuova riforma della scuola, cioè un progetto di innovazione significativo di cui stanno emergendo i dettagli nelle linee guida appena pubblicate.

Numerosi sono i contenuti prospettati, tra cui un grande piano di assunzioni, un nuovo concorso a cattedra ed il progetto di premialità retributiva legata al merito.

Si tratterebbe di un rinnovamento generale di diversi aspetti del sistema scolastico, che riguarderebbe anche l’insegnamento agli alunni con disabilità, come anticipato da un’importante risoluzione approvata in Commissione Istruzione, di cui ci eravamo occupati qualche settimana fa. In essa era stata indicata la volontà politica di garantire continuità didattica agli alunni disabili per tutto il ciclo scolastico, che consentirebbe di superare i disagi educativi derivanti dal precariato e di costruire progetti educativi a lungo termine.

Davide Faraone, responsabile scuola del governo in carica, in una recente intervista aveva confermato che tra le novità che saranno comprese nella riforma della scuola c’è anche quella del sostegno, che non è una cortesia ma un diritto, non porta per accedere ad insegnamento. Quella del sostegno, ha affermato Faraone, è una delle gambe essenziali della riforma.

 

Non mancano però le perplessità: il testo dell’ambizioso progetto dedica la pagina 78 alle politiche previste per l’inclusione, da cui emerge un dato che abbiamo più volte sottolineato, cioè la carenza dei docenti specializzati per le attività di sostegno. Nello specifico, viene richiamato il piano triennale di stabilizzazione, giunto alla sua seconda tranche, che ha visto fino ad ora l’assunzione di quasi 18 mila insegnanti specializzati e che si concluderà il prossimo anno con l’immissione in ruolo di altri 8 mila docenti. Circa 26 mila insegnanti, dunque, potranno garantire continuità didattica agli alunni.

Non basta. Infatti, nonostante questa significativa azione politica centrata sulla tutela dei diritti degli alunni con disabilità, circa 21 mila cattedre continueranno ad essere annuali e, pertanto, ad almeno 42 mila alunni con certificazione non potrà essere garantita la continuità didattica. Non solo: i docenti specializzati presenti attualmente nelle graduatorie ad esaurimento sono solo 14 mila, cui si aggiungono gli insegnanti presenti nelle graduatorie di merito dei concorsi. In molti casi, però, si tratta delle stesse persone, che hanno superato le prove per accedere ad entrambi i percorsi utili per l’immissione in ruolo. Il numero dei docenti specializzati, cioè, continua ad essere inferiore al fabbisogno e, in diversi casi, come abbiamo già evidenziato, non sarà sufficiente nemmeno a coprire le assunzioni previste per l’anno prossimo.

 

Altri insegnati, pur in possesso di abilitazione e di recente specializzazione, non potranno essere assunti finché non saranno in possesso di idoneità concorsuale.

fonte

http://www.disabili.com/scuola-a-istruzione/articoli-scuola-istruzione/linee-guida-la-buona-scuola-cosa-prevedono-per-il-sostegno

Il 1° Agosto la Commissione Istruzione ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna il governo garantire continuità didattica nel sostegno

Abbiamo affrontato più volte il problema del diffuso precariatodei docenti di sostegno, che impedisce di fatto la possibilità di garantire continuità didattica alle classi a cui sono assegnati. Ogni anno, infatti, purtroppo ormai con regolarità, registriamo il loro alternarsi nell’assegnazione delle cattedre annuali, che dipendono da un sistema di punteggi nelle graduatorie e di posti disponibili al momento delle nomine.

Ciò non solo inibisce la possibilità di maturare competenze legate di bisogni dei contesti delle classi ma, soprattutto, quella di garantire continuità didattica agli alunni. Docenti e discenti affrontano dunque ogni anno quella che chi scrive ha di recente definito una inutile e frustante fatica di Sisifo.

Proprio nella pausa estiva, però, dal Parlamento sembrano arrivare buone notizie. Nei giorni scorsi, infatti, la Commissione Istruzione al Senato ha approvato all’unanimitàuna risoluzione che impegna il governo a risolvere il problema, a garantire continuità didattica per tutto il ciclo scolastico. Ciò è concretizzabile azzerando la discrepanza numerica tra quello che viene definito organico di diritto e quello che viene invece chiamato organico di fatto. Si tratta di termini tecnici per distinguere tra il numero dei docenti assunti o da assumere e quello invece reale, cui confluisco anche tutte le assegnazioni temporanee. Tale discrepanza numerica, purtroppo, negli ultimi anni è diventata sempre più ampia, fino a riguardare, in alcuni casi, anche la metà dei docenti.

A questo si era cercato di porre rimedio già lo scorso anno, giungendo all’impegno formale con un piano di assunzione triennale, in gran parte ancora da realizzare. La seconda tranche di assunzioni è prevista proprio nelle prossime settimane, prima dell’avvio dell’anno scolastico e riguarderà circa 13 mila insegnanti di sostegno.

Tra le indicazioni previste dalla risoluzione, però, c’è anche un’importante novità e cioè un incremento del numero dei docenti di sostegno nell’organico di diritto, attualmente fissato in 90 mila posti. Infatti, per giungere al rapporto medio di 2 alunni per ogni docente di sostegno, l’organico di diritto dovrebbe essere di 110 mila posti. Giungere a questa cifra consentirebbe di abbassare drasticamente la discrepanza numerica tra organico di diritto e organico di fatto. Si tratta di un impegno importante da parte della Commissione Istruzione. La risoluzione, infatti, è un atto di indirizzo politico che evidenzia una volontà risolutiva da parte del Parlamento.

Rispetto al prossimo anno scolastico, intanto, come già riportato, è prevista la stabilizzazione immediata di circa 13 mila docenti di sostegno, che potranno garantire continuità didattica agli alunni. Seguiremo con attenzione le diverse fasi attuative e la suddivisione dei posti nei diversi ordini.

fonte

http://www.disabili.com/scuola-a-istruzione/articoli-scuola-istruzione/sostegno-e-continuita-didattica-approvata-importante-risoluzione-in-commissione-istruzione

Rivoluzione ICF: in arrivo le linee guida per l’inclusione, mentre va avanti la sperimentazione sui BES. Piemonte finora unica regione che rilascia le nuove certificazioni. Formazione dei docenti curricolari: molto bene in particolare la Puglia. Quasi al via i corsi di specializzazione per il sostegno, con 300 ore di tirocinio. A breve online un portale per reperire materiali didattici ed esperienze.

L’integrazione degli alunni con disabilità è uno dei pochi fiori all’occhiello del sistema d’istruzione italiano. Si stenta a crederlo se non si ha familiarità con la materia, ma a tutt’oggi in paesi come la Francia o la Gran Bretagna o la Germania l’inclusione dei portatori di handicap inizia a compiere solo i primi passi ed è ben lungi dal diventare quella che da noi è prassi quotidiana da più di trent’anni. Dopo i fondamentali traguardi degli anni ’70 (risalgono a quel decennio leggi come la 517/77, che finalmente sancisce il diritto alla frequenza scolastica), dopo la legge n.279/82 che istituisce la figura del docente di sostegno (sostegno alla classe, e non al disabile) e la fondamentale legge-quadro 104 del 1992 (per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sta andando in scena proprio in questi mesi un’altra rivoluzione nella progettazione dell’inclusione a scuola, quella che si sintetizza in due acronimi, ICF (International Classification of Functioning) e BES (Bisogni educativi speciali). L’approccio pedagogico che ci ha portati fino a qui è basato sull’idea che nell’azione educativa si deve partire da quello che la persona è o sarà in grado di fare, non da ciò che non potrà mai fare, come ci ha spiegato Marco Rossi-Doria, Sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli studenti disabili.

Ci può illustrare a che punto sono i lavori per la nuova classificazione delle disabilità? Quali saranno i tempi? Sappiamo, infatti, che il tradizionale sistema a tre caselle (deficit di vista, udito e psico-fisici) ingloba solo il 93, 94 per cento dei casi effettivamente censiti a scuola…

“La classificazione delle disabilità, anche se ha riflessi importanti sui processi di inclusione scolastica ed in particolare sulle procedure di assegnazione del sostegno, rientra nelle competenze del Ministero della Sanità. Il Miur sta seguendo una sperimentazione, a livello nazionale, per introdurre nella scuola italiana il modello ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa si basa sulla funzionalità della persona, un approccio decisivo ai fini dell’integrazione.

Il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” ha visto la partecipazione di circa 600 scuole ed una sperimentazione di durata annuale su 93 istituzioni scolastiche, finanziato con 1,7 mln di euro. Stiamo ora lavorando all’elaborazione delle relative Linee guida.

Già dal 2008 è stata sottoscritta un’Intesa, in Conferenza Unificata, per l’adozione del modello ICF di certificazione su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, solo il Piemonte – dopo due anni di sperimentazione – rilascia certificazioni in ICF. Stiamo quindi pensando di realizzare un accordo con la Regione Piemonte per estendere questa pratica anche ad altre Regioni”.

Quali saranno gli effetti positivi immediati per le famiglie e per le scuole?

“L’approccio del “funzionamento” inciderà su due diversi piani: la persona e il contesto. Rispetto al piano della persona, il punto di forza dell’ICF è che consente al piano didattico di superare un approccio basato sulle “menomazioni”, cioè su quello che la persona non può fare, per passare all’approccio, appunto, del “funzionamento”, basato sulle potenzialità e sulle capacità, su quello che la persona può fare e progressivamente imparare a fare. Rispetto invece al contesto, i suoi concetti cardine sono quelli di “barriere” da azzerare e “facilitatori” da potenziare. Il contesto è determinante per realizzare le migliori condizioni atte a favorire il successo formativo ed il benessere della persona. Quindi le scuole potranno meglio costruire un piano didattico in grado di sostenere gli apprendimenti e valorizzare le capacità di ciascuno. E le famiglie potranno sentirsi maggiormente sostenute”.

Abbiamo sentito parlare di corsi di formazione online, solo per i docenti di sostegno o anche per i docenti curricolari? Si tratterà solo di formazione a distanza?

“Il MIUR sta puntando molto sulla formazione dei docenti riguardo alle disabilità, sia attraverso la formazione in servizio che con percorsi rigorosi di formazione iniziale. C’è molta formazione in presenza, ma utilizzeremo anche quella a distanza.

Nell’ambito della formazione in servizio, ci stiamo rivolgendo non solo ai docenti di sostegno ma a tutti i docenti curricolari, sia nella scuola primaria che nella secondaria. Sono stati organizzati dagli Uffici Scolastici Regionali diversi corsi a livello territoriale. In particolare la Puglia ha coinvolto 4mila docenti in un corso di 50 ore, di cui 10 in presenza. Metteremo questa esperienza a disposizione delle altre zone d’Italia, perché ha avuto molto successo.

È stato inoltre predisposto un piano nazionale di formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nell’ambito del quale sono stati organizzati 35 master universitari grazie ad un accordo tra il MIUR e le Università presso le quali è attivo un Corso di laurea in Scienze della Formazione. I master sono stati finanziati dal Ministero – ai docenti veniva richiesto un contributo simbolico di iscrizione, dagli 80 ai 150 euro – e hanno avuto un grande successo: a fronte di 3500 posti disponibili si sono registrate oltre 12000 domande. Abbiamo quindi deciso di finanziarne una seconda edizione.

Abbiamo poi predisposto un piano di ulteriori 40 corsi di perfezionamento e master, per una platea di docenti, formati o in formazione, superiore alle 11.000 unità, su tematiche specifiche (autismo, sindrome ADHD, ritardo maturativo e mentale, rieducazione psicomotoria, disabilità sensoriali) . Queste attività partiranno già dal corrente anno accademico.

A sostegno di queste iniziative formative sarà a breve on line un portale con un’area dedicata, articolata in diverse sezioni: una comunità di pratica destinata agli insegnanti; una raccolta delle esperienze delle scuole; una rassegna degli interventi di formazione promossi dagli Uffici Scolastici Regionali; una sezione dedicata alle Università, dove saranno pubblicati materiali didattici”.

Come avverrà il reclutamento dei futuri insegnanti di sostegno? TFA per il sostegno? Dopo quello che è successo col corso ordinario, si ha paura anche solo a nominarlo il TFA…

“Nell’ambito della formazione iniziale è stato istituito il Corso di specializzazione per il sostegno, di durata annuale (60 CFU pari a 1500 ore di impegno didattico), con circa 300 ore di tirocinio. Oggi quindi per il sostegno non è previsto un TFA ma questi corsi, che partiranno nel corrente anno accademico. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti curricolari, nei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale di scienze della formazione, abilitanti all’insegnamento per le scuole dell’infanzia e primarie (partiti nel 2011), sono previsti 30 CFU (pari ad un semestre accademico) dedicati alle tematiche dell’inclusione. Stiamo puntando a percorsi rigorosi per la preparazione di tutti gli insegnanti sui temi della disabilità e dei BES e a un percorso specifico, naturalmente, per chi sceglie di specializzarsi nel sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Anche in presenza di insegnanti di sostegno, le scuole si trovano spesso in difficoltà di fronte a sindromi come quella da iperattività (ADHD) o autismo, in cui il disagio è soprattutto relazionale ancor più che didattico. Sono allo studio azioni specifiche per fronteggiare queste due emergenze? Sarebbe sbagliato pensare di coinvolgere personale fornito di competenze specifiche (per esempio gli psicologi, non solo nel ruolo di supervisori, ma anche in quello di operatori), al di fuori del canale disciplinare? Forse con un canale di accesso per competenze e non solo per titoli?

“Come ho detto in precedenza stiamo attivando 40 corsi di perfezionamento e master su questioni specifiche come l’autismo e la sindrome ADHD. Ma ci tengo a sottolineare che la presa in carico di alunni e studenti è e deve essere anzitutto operata dal personale della scuola. Sono gli insegnanti – tutti, non soltanto il personale di sostegno – che hanno la responsabilità di individuare percorsi educativi per consentire ad ogni studente di imparare le cose indispensabili ed ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppando abilità e competenze utili per la vita. E’ quindi in primis nella scuola che vanno sviluppate le competenze professionali per seguire questi ragazzi. L’apporto di professionalità esterne alla scuola può comunque svolgere un ruolo importante di supporto verso i ragazzi e le famiglie, per creare una continuità dell’intervento tra tempo a scuola e tempo extrascolastico e intervenire su singoli aspetti (psicologico, motorio, ecc) con maggiore efficacia. Per questo esistono una serie di strumenti, tra i quali gli Accordi di programma, che consentono alle scuole di operare in sinergia con Enti locali ed altri organismi, nell’ambito di procedure ben definite. Sappiamo di moltissime realtà dove la collaborazione tra istituzioni consente l’attivazione di percorsi che vedono lavorare insieme il mondo della scuola, quello della sanità e quello del privato sociale. La creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto va proprio in questa direzione, cioè di una rete di scuole polo per l’inclusione che sappia cooperare con tutti gli attori preposti alla realizzazione degli obiettivi di inclusione scolastica e sociale, con il coinvolgimento di specialisti ed esperti. La rete dei CTS, di livello provinciale (sono 105 in tutta Italia), sta per essere integrata con la rete dei CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, scuole polo situate nei distretti socio-sanitari. La rete delle scuole per l’inclusione è già operante in molte regioni (Veneto, 51 scuole; Lombardia, 68; Marche, 31; ecc.) e stiamo lavorando per estenderlo a ogni regione. I CTS forniscono anche ausili in comodato d’uso”.

Come evitare che il posto di sostegno continui a essere anche in futuro una più facile passerella per accedere al ruolo?

“Attraverso percorsi rigorosi di studio teorico, tirocini e specializzazioni, come quelli che abbiamo attivato e che in futuro dovranno essere l’unica via per accedere al sostegno. Ci vorrà qualche anno perché un sistema di formazione e reclutamento uguale per tutti entri a regime, ma questa è la strada da perseguire. Nel frattempo dobbiamo perseguire l’obiettivo della continuità didattica del personale di sostegno, così importante per il successo formativo. Il provvedimento per rendere stabili i 27.000 docenti di sostegno, facendoli accedere all’organico di diritto, che è contenuto nel Decreto Scuola in via di conversione in questi giorni, è un primo importante passo in questa direzione. Vorrei anche aggiungere che la migliore soluzione all’idea del sostegno come “ripiego” o “scorciatoia” – sempre che così si possa chiamare in certi casi – è promuovere nelle scuole la vera cultura dell’inclusione, che responsabilizza tutti e non soltanto il personale di sostegno. Ferma restando l’importanza decisiva delle competenze dei docenti di sostegno, alcune competenze sulle disabilità devono essere patrimonio di ogni insegnante ed è la comunità scolastica nel suo complesso che deve attuare una presa in carico educativa efficace nei confronti di ciascun bambino o ragazzo. Questo è l’approccio, proposto a scuole e docenti, che abbiamo indicato con la direttiva sui bisogni educativi speciali, che adesso stiamo attuando con diverse misure di accompagnamento per rendere quest’anno scolastico un anno di sperimentazione. Dunque, progressiva e costante crescita delle competenze specifiche degli insegnanti di sostegno e di quelle di tutti. E’ un approccio che consentirà alle scuole di inverare l’inclusione scolastica così come è stata pensata da una delle leggi più avanzate al mondo, quella del 1977. Dobbiamo tutti esserne consapevoli: daremo forza e continuità al nostro modello se saremo costanti nel tempo, se sapremo sostenerlo con le risorse adeguate e con la continuità nella formazione. C’è – certo – bisogno di manutenzione e impegno a tutti i livelli per garantire e difendere un approccio culturale e pedagogico, fondato sui diritti delle persone, che è un grande segno di civiltà del nostro Paese, riconosciuto nel mondo e, che proprio per il suo valore va via via migliorato lì dove è necessario”.

Oltre alle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno, nel Decreto scuola si parla di un cambiamento delle procedure di accertamento dell’handicap, attraverso l’inserimento nella commissione medica di un dirigente o di un docente. Quali saranno gli effetti di questa modifica?

“Il Decreto Scuola è proprio adesso al vaglio del Parlamento e quindi saranno le discussioni in quella sede a stabilire eventuali modifiche. Il fatto che tutta la VII Commissione della Camera – in ogni parte politica – abbia mostrato grande attenzione a questi temi è un segnale istituzionale e politico davvero importante e promettente. Rispetto alla questione delle certificazioni, esiste l’apposito tavolo paritetico tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute, che ha il compito, appunto, di monitorare la situazione e proporre interventi. E, come MIUR, intendiamo continuare nel lavoro teso a migliorare i processi di rilevazione delle risorse professionali in ogni scuola e territorio e degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali, nel rigoroso rispetto della privacy, su base funzionale e nella prospettiva dell’integrazione di ciascuno”