LINEE GUIDA PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA
In allegato il documento del ministro Gelmini del 2009
LINEE GUIDA PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA
In allegato il documento del ministro Gelmini del 2009
Il 3 Settembre sono state pubblicate le linee guida per la scuola: nel sostegno al centro sono l’inclusione e la continuità didattica
Nei giorni scorsi è stata annunciata una nuova riforma della scuola, cioè un progetto di innovazione significativo di cui stanno emergendo i dettagli nelle linee guida appena pubblicate.
Numerosi sono i contenuti prospettati, tra cui un grande piano di assunzioni, un nuovo concorso a cattedra ed il progetto di premialità retributiva legata al merito.
Si tratterebbe di un rinnovamento generale di diversi aspetti del sistema scolastico, che riguarderebbe anche l’insegnamento agli alunni con disabilità, come anticipato da un’importante risoluzione approvata in Commissione Istruzione, di cui ci eravamo occupati qualche settimana fa. In essa era stata indicata la volontà politica di garantire continuità didattica agli alunni disabili per tutto il ciclo scolastico, che consentirebbe di superare i disagi educativi derivanti dal precariato e di costruire progetti educativi a lungo termine.
Davide Faraone, responsabile scuola del governo in carica, in una recente intervista aveva confermato che tra le novità che saranno comprese nella riforma della scuola c’è anche quella del sostegno, che non è una cortesia ma un diritto, non porta per accedere ad insegnamento. Quella del sostegno, ha affermato Faraone, è una delle gambe essenziali della riforma.
Non mancano però le perplessità: il testo dell’ambizioso progetto dedica la pagina 78 alle politiche previste per l’inclusione, da cui emerge un dato che abbiamo più volte sottolineato, cioè la carenza dei docenti specializzati per le attività di sostegno. Nello specifico, viene richiamato il piano triennale di stabilizzazione, giunto alla sua seconda tranche, che ha visto fino ad ora l’assunzione di quasi 18 mila insegnanti specializzati e che si concluderà il prossimo anno con l’immissione in ruolo di altri 8 mila docenti. Circa 26 mila insegnanti, dunque, potranno garantire continuità didattica agli alunni.
Non basta. Infatti, nonostante questa significativa azione politica centrata sulla tutela dei diritti degli alunni con disabilità, circa 21 mila cattedre continueranno ad essere annuali e, pertanto, ad almeno 42 mila alunni con certificazione non potrà essere garantita la continuità didattica. Non solo: i docenti specializzati presenti attualmente nelle graduatorie ad esaurimento sono solo 14 mila, cui si aggiungono gli insegnanti presenti nelle graduatorie di merito dei concorsi. In molti casi, però, si tratta delle stesse persone, che hanno superato le prove per accedere ad entrambi i percorsi utili per l’immissione in ruolo. Il numero dei docenti specializzati, cioè, continua ad essere inferiore al fabbisogno e, in diversi casi, come abbiamo già evidenziato, non sarà sufficiente nemmeno a coprire le assunzioni previste per l’anno prossimo.
Altri insegnati, pur in possesso di abilitazione e di recente specializzazione, non potranno essere assunti finché non saranno in possesso di idoneità concorsuale.
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Il 1° Agosto la Commissione Istruzione ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna il governo garantire continuità didattica nel sostegno
Abbiamo affrontato più volte il problema del diffuso precariatodei docenti di sostegno, che impedisce di fatto la possibilità di garantire continuità didattica alle classi a cui sono assegnati. Ogni anno, infatti, purtroppo ormai con regolarità, registriamo il loro alternarsi nell’assegnazione delle cattedre annuali, che dipendono da un sistema di punteggi nelle graduatorie e di posti disponibili al momento delle nomine.
Ciò non solo inibisce la possibilità di maturare competenze legate di bisogni dei contesti delle classi ma, soprattutto, quella di garantire continuità didattica agli alunni. Docenti e discenti affrontano dunque ogni anno quella che chi scrive ha di recente definito una inutile e frustante fatica di Sisifo.
Proprio nella pausa estiva, però, dal Parlamento sembrano arrivare buone notizie. Nei giorni scorsi, infatti, la Commissione Istruzione al Senato ha approvato all’unanimitàuna risoluzione che impegna il governo a risolvere il problema, a garantire continuità didattica per tutto il ciclo scolastico. Ciò è concretizzabile azzerando la discrepanza numerica tra quello che viene definito organico di diritto e quello che viene invece chiamato organico di fatto. Si tratta di termini tecnici per distinguere tra il numero dei docenti assunti o da assumere e quello invece reale, cui confluisco anche tutte le assegnazioni temporanee. Tale discrepanza numerica, purtroppo, negli ultimi anni è diventata sempre più ampia, fino a riguardare, in alcuni casi, anche la metà dei docenti.
A questo si era cercato di porre rimedio già lo scorso anno, giungendo all’impegno formale con un piano di assunzione triennale, in gran parte ancora da realizzare. La seconda tranche di assunzioni è prevista proprio nelle prossime settimane, prima dell’avvio dell’anno scolastico e riguarderà circa 13 mila insegnanti di sostegno.
Tra le indicazioni previste dalla risoluzione, però, c’è anche un’importante novità e cioè un incremento del numero dei docenti di sostegno nell’organico di diritto, attualmente fissato in 90 mila posti. Infatti, per giungere al rapporto medio di 2 alunni per ogni docente di sostegno, l’organico di diritto dovrebbe essere di 110 mila posti. Giungere a questa cifra consentirebbe di abbassare drasticamente la discrepanza numerica tra organico di diritto e organico di fatto. Si tratta di un impegno importante da parte della Commissione Istruzione. La risoluzione, infatti, è un atto di indirizzo politico che evidenzia una volontà risolutiva da parte del Parlamento.
Rispetto al prossimo anno scolastico, intanto, come già riportato, è prevista la stabilizzazione immediata di circa 13 mila docenti di sostegno, che potranno garantire continuità didattica agli alunni. Seguiremo con attenzione le diverse fasi attuative e la suddivisione dei posti nei diversi ordini.
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http://www.disabili.com/scuola-a-istruzione/articoli-scuola-istruzione/sostegno-e-continuita-didattica-approvata-importante-risoluzione-in-commissione-istruzione
La legge di stabilità è stata modificata. Dopo i timori emersi nella proposta che il governo aveva recentemente avanzato sono state apportate delle modifiche che in qualche caso la rendono meno amara ai disabili e alle loro famiglie. Questo è avvenuto anche grazie alla protesta delle associazioni e più in particolare a quelle delle famiglie con parenti malati di SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Ma da questa protesta e dalle successive modifiche è nato un equivoco che deve essere chiarito in modo chiaro al più presto per non dare la sensazione che ci siano disabili di serie A e disabili di serie B. Una specie di discriminazione tra persone già discriminate… Infatti ovunque si legge che sono stati trovate le risorse necessarie per i malati di SLA, come se fossero gli unici ad averne bisogno. In realtà la SLA è diventata la rappresentante delle disabilità gravi e gravissime e di conseguenza i fondi che saranno stanziati saranno validi anche per le famiglie in cui vivono persone con patologie che portano a una totale non autosufficienza.
A quanto pare il governo dovrebbe mettere a disposizione per il Sociale una cifra che si aggira intorno a un miliardo di Euro, riducendo quindi i sacrifici a cui sarebbero andate incontro le persone disabili e non autosufficienti. Purtroppo però non tutte le categorie beneficeranno di questi fondi; sembra infatti che andranno a favore solo dei disabili non autosufficienti, dei pensionati con redditi bassi e degli indigenti.
Ma da dove escono fuori questi soldi? Semplice: con la sola cancellazione della norma che prevedeva la riduzione delle aliquote Irpef il governo a recuperato una cifra di oltre 4 miliardi di euro per il 2013 da mettere a disposizione di altre iniziative, tra cui quelle a favore di alcune categorie svantaggiate come i disabili gravi. Ma anche dal congelamento di opere discusse e controverse come il ponte sullo stretto di Messina.
Oltre al recupero dei fondi di cui si è scritto sopra, saltano i tagli agli sconti fiscali ed in particolare della loro retroattività. Si pensa anche alla revisione della franchigia, che comprendeva anche le spese mediche, che era stata stabilita a 250 euro per i redditi superiori a 15.000 euro. Per chi ha un figlio disabile potrà portare in detrazione circa 1.000 europurchè il suo reddito non superi i 95.000 euro annui. Per i figli più in generale le detrazioni saranno di 900 euro per i bambini con meno di tre anni di età e di 800 per gli altri. In caso di famiglie con due figli le detrazioni potranno essere applicate purchè il reddito non superi i 110.000 euro.
Legge 104/1992: i tre giorni di permesso al mese stabiliti dalla legge saranno retribuiti al 100% nel caso in cui si debba assistere un figlio, un coniuge o si tratti di disabilità propria. Ma nel caso più comune, quello di dare assistenza a genitori con disabilità, la retribuzione viene tagliata del 50%. Ma la norma dovrebbe riguardare solo i dipendentio pubblici.
L’aumento dell’Iva di 1 punto è previsto per le aliquote attualmente al 21% mentre non sarà applicato a quelle al 10%. Inoltre sembra essere stato congelato l’aumento dell’aliquota Iva dal 4% al 10% che avrebbe avuto effetti devastanti sulle cooperative sociali che erogano servizi socio sanitari, assistenziali ed educativi.
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http://www.abilitychannel.tv/diversamente-disabili-come-cambia-la-legge-di-stabilita/
Rivoluzione ICF: in arrivo le linee guida per l’inclusione, mentre va avanti la sperimentazione sui BES. Piemonte finora unica regione che rilascia le nuove certificazioni. Formazione dei docenti curricolari: molto bene in particolare la Puglia. Quasi al via i corsi di specializzazione per il sostegno, con 300 ore di tirocinio. A breve online un portale per reperire materiali didattici ed esperienze.
L’integrazione degli alunni con disabilità è uno dei pochi fiori all’occhiello del sistema d’istruzione italiano. Si stenta a crederlo se non si ha familiarità con la materia, ma a tutt’oggi in paesi come la Francia o la Gran Bretagna o la Germania l’inclusione dei portatori di handicap inizia a compiere solo i primi passi ed è ben lungi dal diventare quella che da noi è prassi quotidiana da più di trent’anni. Dopo i fondamentali traguardi degli anni ’70 (risalgono a quel decennio leggi come la 517/77, che finalmente sancisce il diritto alla frequenza scolastica), dopo la legge n.279/82 che istituisce la figura del docente di sostegno (sostegno alla classe, e non al disabile) e la fondamentale legge-quadro 104 del 1992 (per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sta andando in scena proprio in questi mesi un’altra rivoluzione nella progettazione dell’inclusione a scuola, quella che si sintetizza in due acronimi, ICF (International Classification of Functioning) e BES (Bisogni educativi speciali). L’approccio pedagogico che ci ha portati fino a qui è basato sull’idea che nell’azione educativa si deve partire da quello che la persona è o sarà in grado di fare, non da ciò che non potrà mai fare, come ci ha spiegato Marco Rossi-Doria, Sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli studenti disabili.
Ci può illustrare a che punto sono i lavori per la nuova classificazione delle disabilità? Quali saranno i tempi? Sappiamo, infatti, che il tradizionale sistema a tre caselle (deficit di vista, udito e psico-fisici) ingloba solo il 93, 94 per cento dei casi effettivamente censiti a scuola…
“La classificazione delle disabilità, anche se ha riflessi importanti sui processi di inclusione scolastica ed in particolare sulle procedure di assegnazione del sostegno, rientra nelle competenze del Ministero della Sanità. Il Miur sta seguendo una sperimentazione, a livello nazionale, per introdurre nella scuola italiana il modello ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa si basa sulla funzionalità della persona, un approccio decisivo ai fini dell’integrazione.
Il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” ha visto la partecipazione di circa 600 scuole ed una sperimentazione di durata annuale su 93 istituzioni scolastiche, finanziato con 1,7 mln di euro. Stiamo ora lavorando all’elaborazione delle relative Linee guida.
Già dal 2008 è stata sottoscritta un’Intesa, in Conferenza Unificata, per l’adozione del modello ICF di certificazione su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, solo il Piemonte – dopo due anni di sperimentazione – rilascia certificazioni in ICF. Stiamo quindi pensando di realizzare un accordo con la Regione Piemonte per estendere questa pratica anche ad altre Regioni”.
Quali saranno gli effetti positivi immediati per le famiglie e per le scuole?
“L’approccio del “funzionamento” inciderà su due diversi piani: la persona e il contesto. Rispetto al piano della persona, il punto di forza dell’ICF è che consente al piano didattico di superare un approccio basato sulle “menomazioni”, cioè su quello che la persona non può fare, per passare all’approccio, appunto, del “funzionamento”, basato sulle potenzialità e sulle capacità, su quello che la persona può fare e progressivamente imparare a fare. Rispetto invece al contesto, i suoi concetti cardine sono quelli di “barriere” da azzerare e “facilitatori” da potenziare. Il contesto è determinante per realizzare le migliori condizioni atte a favorire il successo formativo ed il benessere della persona. Quindi le scuole potranno meglio costruire un piano didattico in grado di sostenere gli apprendimenti e valorizzare le capacità di ciascuno. E le famiglie potranno sentirsi maggiormente sostenute”.
Abbiamo sentito parlare di corsi di formazione online, solo per i docenti di sostegno o anche per i docenti curricolari? Si tratterà solo di formazione a distanza?
“Il MIUR sta puntando molto sulla formazione dei docenti riguardo alle disabilità, sia attraverso la formazione in servizio che con percorsi rigorosi di formazione iniziale. C’è molta formazione in presenza, ma utilizzeremo anche quella a distanza.
Nell’ambito della formazione in servizio, ci stiamo rivolgendo non solo ai docenti di sostegno ma a tutti i docenti curricolari, sia nella scuola primaria che nella secondaria. Sono stati organizzati dagli Uffici Scolastici Regionali diversi corsi a livello territoriale. In particolare la Puglia ha coinvolto 4mila docenti in un corso di 50 ore, di cui 10 in presenza. Metteremo questa esperienza a disposizione delle altre zone d’Italia, perché ha avuto molto successo.
È stato inoltre predisposto un piano nazionale di formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nell’ambito del quale sono stati organizzati 35 master universitari grazie ad un accordo tra il MIUR e le Università presso le quali è attivo un Corso di laurea in Scienze della Formazione. I master sono stati finanziati dal Ministero – ai docenti veniva richiesto un contributo simbolico di iscrizione, dagli 80 ai 150 euro – e hanno avuto un grande successo: a fronte di 3500 posti disponibili si sono registrate oltre 12000 domande. Abbiamo quindi deciso di finanziarne una seconda edizione.
Abbiamo poi predisposto un piano di ulteriori 40 corsi di perfezionamento e master, per una platea di docenti, formati o in formazione, superiore alle 11.000 unità, su tematiche specifiche (autismo, sindrome ADHD, ritardo maturativo e mentale, rieducazione psicomotoria, disabilità sensoriali) . Queste attività partiranno già dal corrente anno accademico.
A sostegno di queste iniziative formative sarà a breve on line un portale con un’area dedicata, articolata in diverse sezioni: una comunità di pratica destinata agli insegnanti; una raccolta delle esperienze delle scuole; una rassegna degli interventi di formazione promossi dagli Uffici Scolastici Regionali; una sezione dedicata alle Università, dove saranno pubblicati materiali didattici”.
Come avverrà il reclutamento dei futuri insegnanti di sostegno? TFA per il sostegno? Dopo quello che è successo col corso ordinario, si ha paura anche solo a nominarlo il TFA…
“Nell’ambito della formazione iniziale è stato istituito il Corso di specializzazione per il sostegno, di durata annuale (60 CFU pari a 1500 ore di impegno didattico), con circa 300 ore di tirocinio. Oggi quindi per il sostegno non è previsto un TFA ma questi corsi, che partiranno nel corrente anno accademico. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti curricolari, nei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale di scienze della formazione, abilitanti all’insegnamento per le scuole dell’infanzia e primarie (partiti nel 2011), sono previsti 30 CFU (pari ad un semestre accademico) dedicati alle tematiche dell’inclusione. Stiamo puntando a percorsi rigorosi per la preparazione di tutti gli insegnanti sui temi della disabilità e dei BES e a un percorso specifico, naturalmente, per chi sceglie di specializzarsi nel sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado”.
Anche in presenza di insegnanti di sostegno, le scuole si trovano spesso in difficoltà di fronte a sindromi come quella da iperattività (ADHD) o autismo, in cui il disagio è soprattutto relazionale ancor più che didattico. Sono allo studio azioni specifiche per fronteggiare queste due emergenze? Sarebbe sbagliato pensare di coinvolgere personale fornito di competenze specifiche (per esempio gli psicologi, non solo nel ruolo di supervisori, ma anche in quello di operatori), al di fuori del canale disciplinare? Forse con un canale di accesso per competenze e non solo per titoli?
“Come ho detto in precedenza stiamo attivando 40 corsi di perfezionamento e master su questioni specifiche come l’autismo e la sindrome ADHD. Ma ci tengo a sottolineare che la presa in carico di alunni e studenti è e deve essere anzitutto operata dal personale della scuola. Sono gli insegnanti – tutti, non soltanto il personale di sostegno – che hanno la responsabilità di individuare percorsi educativi per consentire ad ogni studente di imparare le cose indispensabili ed ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppando abilità e competenze utili per la vita. E’ quindi in primis nella scuola che vanno sviluppate le competenze professionali per seguire questi ragazzi. L’apporto di professionalità esterne alla scuola può comunque svolgere un ruolo importante di supporto verso i ragazzi e le famiglie, per creare una continuità dell’intervento tra tempo a scuola e tempo extrascolastico e intervenire su singoli aspetti (psicologico, motorio, ecc) con maggiore efficacia. Per questo esistono una serie di strumenti, tra i quali gli Accordi di programma, che consentono alle scuole di operare in sinergia con Enti locali ed altri organismi, nell’ambito di procedure ben definite. Sappiamo di moltissime realtà dove la collaborazione tra istituzioni consente l’attivazione di percorsi che vedono lavorare insieme il mondo della scuola, quello della sanità e quello del privato sociale. La creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto va proprio in questa direzione, cioè di una rete di scuole polo per l’inclusione che sappia cooperare con tutti gli attori preposti alla realizzazione degli obiettivi di inclusione scolastica e sociale, con il coinvolgimento di specialisti ed esperti. La rete dei CTS, di livello provinciale (sono 105 in tutta Italia), sta per essere integrata con la rete dei CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, scuole polo situate nei distretti socio-sanitari. La rete delle scuole per l’inclusione è già operante in molte regioni (Veneto, 51 scuole; Lombardia, 68; Marche, 31; ecc.) e stiamo lavorando per estenderlo a ogni regione. I CTS forniscono anche ausili in comodato d’uso”.
Come evitare che il posto di sostegno continui a essere anche in futuro una più facile passerella per accedere al ruolo?
“Attraverso percorsi rigorosi di studio teorico, tirocini e specializzazioni, come quelli che abbiamo attivato e che in futuro dovranno essere l’unica via per accedere al sostegno. Ci vorrà qualche anno perché un sistema di formazione e reclutamento uguale per tutti entri a regime, ma questa è la strada da perseguire. Nel frattempo dobbiamo perseguire l’obiettivo della continuità didattica del personale di sostegno, così importante per il successo formativo. Il provvedimento per rendere stabili i 27.000 docenti di sostegno, facendoli accedere all’organico di diritto, che è contenuto nel Decreto Scuola in via di conversione in questi giorni, è un primo importante passo in questa direzione. Vorrei anche aggiungere che la migliore soluzione all’idea del sostegno come “ripiego” o “scorciatoia” – sempre che così si possa chiamare in certi casi – è promuovere nelle scuole la vera cultura dell’inclusione, che responsabilizza tutti e non soltanto il personale di sostegno. Ferma restando l’importanza decisiva delle competenze dei docenti di sostegno, alcune competenze sulle disabilità devono essere patrimonio di ogni insegnante ed è la comunità scolastica nel suo complesso che deve attuare una presa in carico educativa efficace nei confronti di ciascun bambino o ragazzo. Questo è l’approccio, proposto a scuole e docenti, che abbiamo indicato con la direttiva sui bisogni educativi speciali, che adesso stiamo attuando con diverse misure di accompagnamento per rendere quest’anno scolastico un anno di sperimentazione. Dunque, progressiva e costante crescita delle competenze specifiche degli insegnanti di sostegno e di quelle di tutti. E’ un approccio che consentirà alle scuole di inverare l’inclusione scolastica così come è stata pensata da una delle leggi più avanzate al mondo, quella del 1977. Dobbiamo tutti esserne consapevoli: daremo forza e continuità al nostro modello se saremo costanti nel tempo, se sapremo sostenerlo con le risorse adeguate e con la continuità nella formazione. C’è – certo – bisogno di manutenzione e impegno a tutti i livelli per garantire e difendere un approccio culturale e pedagogico, fondato sui diritti delle persone, che è un grande segno di civiltà del nostro Paese, riconosciuto nel mondo e, che proprio per il suo valore va via via migliorato lì dove è necessario”.
Oltre alle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno, nel Decreto scuola si parla di un cambiamento delle procedure di accertamento dell’handicap, attraverso l’inserimento nella commissione medica di un dirigente o di un docente. Quali saranno gli effetti di questa modifica?
“Il Decreto Scuola è proprio adesso al vaglio del Parlamento e quindi saranno le discussioni in quella sede a stabilire eventuali modifiche. Il fatto che tutta la VII Commissione della Camera – in ogni parte politica – abbia mostrato grande attenzione a questi temi è un segnale istituzionale e politico davvero importante e promettente. Rispetto alla questione delle certificazioni, esiste l’apposito tavolo paritetico tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute, che ha il compito, appunto, di monitorare la situazione e proporre interventi. E, come MIUR, intendiamo continuare nel lavoro teso a migliorare i processi di rilevazione delle risorse professionali in ogni scuola e territorio e degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali, nel rigoroso rispetto della privacy, su base funzionale e nella prospettiva dell’integrazione di ciascuno”
Uno dei tasselli più qualificanti della riforma della scuola è costituito dall’intervento sul sostegno che prevede un cambiamento significativo nell’inclusione dei disabili nel sistema educativo italiano. La riforma del sostegno prevede, tra le altre cose, una formazione maggiore per gli insegnanti specializzati sulle diverse forme di disabilità.
Davide Faraone, il responsabile scuola per il Pd, ha presentato il progetto di riforma del sostegno scolastico spiegando “La proposta fa cardine su quattro aspetti principali:
Con norme apposite si intende garantire la continuità educativa affiancandola, laddove è necessaria, con l’assistenza nell’istruzione domiciliare ma si è prevista anche la possibilità di somministrare farmaci a scuola. Una vera rivoluzione la proposta di legge elaborata dallaFish e sostenuta dal Pd e dallo stesso ministro Giannini, con la quale si vuol provare a superare la delega al docente di sostegno e si prova a puntare, appunto, alla formazione dei docenti stessi.
La proposta ha origine da un testo presentato dalla deputata Pd Katia Zanotti nel 2006, il testo però non ebbe seguito a causa della fine della legislatura lasciando alla scuola tutte le criticità legate all’inclusione scolastica.
L’originaria proposta di legge del 2006 è stata ripresa, poi, quando nel 2012 fu emanato il Dpr del 4 ottobre con il quale veniva approvato dal Governo il Piano d’azione per attuare la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. La proposta di legge fu integrata e arricchita con soluzioni più attuali e include, ad oggi, 17 articoli. Di seguito la sintesi dei punti della proposta di legge:
In una lunga intervista Marco Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli alunni disabili, ha spiegato che l’approccio che ha portato alle linee guida su cui si è basata la proposta di legge si basa sull’idea che l’azione educativa deve poter evidenziare e rafforzare tutto ciò che l’alunno con disabilità è o sarà in grado di fare in futuro e non su quello che non potrà mai fare.
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Ecco la classifica rapportata alla vaccinazione obbligatoria o meno
Qui la classifica europea per Sistemi Sanitari:
1) Olanda (non ha vaccini obbligatori)
2) Svizzera (non ha vaccini obbligatori)
3) Norvegia (non ha vaccini obbligatori)
4) Finlandia (non ha vaccini obbligatori)
5) Danimarca (non ha vaccini obbligatori)
6) Belgio (obbligatorio solo 1)
7) Islanda (non ha vaccini obbligatori)
8) Lussemburgo (non ha vaccini obbligatori)
9) Germania (non ha vaccini obbligatori)
10) Austria (non ha vaccini obbligatori)
11) Francia*
12) Svezia (non ha vaccini obbligatori)
13) Portogallo (non ha vaccini obbligatori)
14) Inghilterra (non ha vaccini obbligatori)
15) Rep. Ceca
16) Scozia (non ha vaccini obbligatori)
17) Macedonia (non ha vaccini obbligatori)
18) Estonia (non ha vaccini obbligatori)
19) Spagna (non ha vaccini obbligatori)
20) Slovenia
21) Slovacchia
22) Italia
23) Irlanda (non ha vaccini obbligatori)
24) Croazia
25) Cipro (non ha vaccini obbligatori)
26) Ungheria
27) Lettonia
28) Malta
29) Grecia
30) Bulgaria
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l sondaggio annuale sull’assistenza medica vede i Paesi Bassi in vetta, seguiti da Svizzera, Norvegia, Finlandia e Danimarca. Il nostro paese in discesa rispetto al passato.L’Italia è al ventunesimo posto classifica dell’Indice europeo Health Consumer
BRUXELLES – L’Italia sanitaria non migliora, anzi, insieme a pochissimi altri Paesi perde punti e un posto nella classifica dell’Indice europeo Health Consumer (EHCI) presentato stamane a Bruxelles davanti al Commissario europeo per la salute, il lituano Vytenis Andriukaities. Nato nel 2006 su iniziativa del centro indipendente svedese Health consumer powerhouse (HCP), l’indice è lo sforzo di fotografare dal punto di vista dei consumatori lo stato della sanità di ciascun Paese basandosi su dati ufficiali.
Sono oggi 37 i Paesi “osservati” (con la Scozia che un sistema sanitario diverso dal Regno Unito) e valutati in sei grandi aree con 47 diversi indicatori, soppesati e riequilibrati con criterio numerico. L’Italia, con 648 punti, si presenta al 21° posto (l’anno scorso era al 20° ed al 15° nei primi rilevamenti). Resta al primo posto l’Olanda, con un punteggio di 898 su 1000, seguita da Svizzera, Norvegia, Finlandia e Danimarca.
Cala la spesa sanitaria. Non per tutti i Paesi è lo stesso. “Nonostante molti Paesi registrino un lieve calo della spesa sanitaria, le prestazioni complessive nell’ambito della sanità continuano a migliorare”, ha spiegato Arne Bjornberg, presidente dell’HCP e direttore della ricerca. Nel 2006, il primo indice assegnava un punteggio superiore a 800 a un solo paese, mentre nel 2014 la stessa soglia è stata superata da ben nove sistemi sanitari, tutti caratterizzati da ottime prestazioni. L’Italia invece continua la discesa dal primo rilevamento ad oggi, anche se il punteggio, segnalano i ricercatori non è di per sé rilevante e va preso con grande “cautela”. Bisogno di riforme in un clima di paralisi politica, è il messaggio che arriva da Brussels, con “l’attuale regionalizzazione della sanità pubblica che minaccia di allargare il divario fra Nord e Sud, rendendo talvolta difficile stabilire la media italiana”. Perché, e questo viene riconosciuto, l’Italia ha le sue ecellenze.
I criteri. I 47 indicatori individuati dai ricercatori a cui viene riconosciuta una certa autorevolezza (vista la presenza del Commissario europeo della Salute) riguardno i Diritti dei pazienti e informazioni (12 indicatori: dal diritto alla seconda opinione alla prenotazione online o alla ricetta per mail, al catalogo con ranking di qualità dei servizi ), Accessibiltà e tempi di attesa(5 indicatori: dall’accesso entro la giornata dal medico di famiglia alle liste di attesa), Outcome (7 indicatori: dalle morti infantili, all’aborto, alla cura della depressione), Range e servizi (8 indicatori: dall’equità del sistema sanitario al trapianto di reni per milione di abitanti, alle cure pubbliche dei denti, al numero di parti cesarei), Prevenzione (8 indicatori, introdotti negli ultimi due report: dalla vaccinazioni neonatali e dell’Hpv, dalla prevenzione fumo, all’assunzione media di zuccheri, ai diabetici non diagnosticati), Farmaceutica (7 indicatori tra cui introduzione di nuovi farmaci anticancro, uso o abuso di antibotici, accesso ai farmaci di ultima generazione).
L’indagine relativa alle associazioni dei pazienti, è stato detto, segnala “un notevole miglioramento, in base al quale il Paese sembra avere ridotto significativamente il problema dei pagamenti in nero”. Su questo dato i dubbi sono legittimi.
Raccomandazioni. “Attendersi grandi riforme, che appaiono estremamente incerte, significherebbe prendersi in giro”, ha detto Bjornberg, “Sembra più probabile attuare misure specifiche, come una forte svolta nella prevenzione antifumo, dato che quest’ultimo è una delle cause degli scarsi risultati dei trattamenti. L’eccessivo consumo di antibiotici va a braccetto con l’elevato livello di gravi infezioni ospedaliere: si tratta di una correlazione pericolosa, che andrebbe affrontata”. Altro tema è l’assistenza a lungo termine della popolazione in invecchiamento: “un’abissale mancanza di preparazione. Sotto questo punto di vista, infatti, l’Italia si colloca allo stesso posto di Romania e Grecia, ma ancora una volta non sembra esservi alcuna volontà politica di attuare azioni risolutive”.
fonte
http://www.repubblica.it/salute/2015/01/27/news/indice_salute_europea-105869922/
grafico qui
http://www.repubblica.it/salute/2015/01/27/news/sistemi_sanitari_a_confronto-105876986/
Titolo: Relazione Ministro Salute attuazione Legge 194/78 tutela sociale maternità e interruzione volontaria di gravidanza – dati prelim. 2013 e dati defin. 2012
Sommario: Nella Relazione vengono analizzati e illustrati i dati definitivi relativi all’anno 2012 e quelli preliminari per l’anno 2013 sull’attuazione della legge 194 del 1978, che stabilisce norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG)
Data del documento: 2014
Periodo di riferimento: 2012-2013
Periodicità: annuale
A cura di: Ministero della salute
allegati
Relazione al Parlamento IVG 2014 (PDF 0.70 Mb)
Tabelle relazione 2014 (PDF 0.57 Mb)
fonte
http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2226
Gli alunni con disabilità nella scuola italiana
Gli alunni con disabilità nel sistema scolastico italiano sono complessivamente
222.917, pari al 2,5% dell’intera popolazione (prossima a 9 milioni di alunni). La scuola
dell’infanzia presenta una percentuale di alunni con disabilità inferiore agli altri ordini di
scuola pari all’1,3% (in media si ha un alunno con disabilità ogni 78 alunni senza
disabilità). Nella scuola primaria essa è del 3%, nella scuola secondaria di I grado del
3,7%, nella scuola secondaria di II grado la percentuale di alunni con disabilità è pari al 2%
Con riferimento alla distribuzione per gestione, osserviamo che, complessivamente,
circa il 92% degli alunni con disabilità frequenta scuole statali. Quanto alle scuole a
gestione non statale, la più alta concentrazione degli alunni con disabilità si ha nella
Totale scuole
Alunni con disabilità 222.917 21.283 83.892 65.084 52.658
Totale alunni 8.943.701 1.686.095 2.825.400 1.779.758 2.652.448
alunni senza disabilità / alunni con disabilità 39 78 33 26 49
% alunni con disabilità / totale alunni 2,5 1,3 3,0 3,7 2,0
Scuole statali
Alunni con disabilità 205.096 14.839 78.374 61.448 50.435
Totale alunni 7.737.639 1.014.142 2.574.660 1.673.564 2.475.273
alunni senza disabilità / alunni con disabilità 37 67 32 26 48
% alunni con disabilità / totale alunni 2,7 1,5 3,0 3,7 2,0
Scuole non statali
Alunni con disabilità 17.821 6.444 5.518 3.636 2.223
Totale alunni 1.206.062 671.953 250.740 106.194 177.175
alunni senza disabilità / alunni con disabilità 67 103 44 28 79
% alunni con disabilità / totale alunni 1,5 1,0 2,2 3,4 1,3
di cui: Scuole paritarie
Alunni con disabilità 12.299 6.047 3.244 1.405 1.603
Totale alunni 1.036.403 642.040 190.608 69.833 133.922
alunni senza disabilità / alunni con disabilità 83 105 58 49 83
% alunni con disabilità / totale alunni 1,2 0,9 1,7 2,0 1,2
Incidenza alunni con disabilità per gestione
% alunni con disabilità scuole statali / scuole totali 92,0 69,7 93,4 94,4 95,8
% alunni con disabilità scuole non statali / sc. totali 8,0 30,3 6,6 5,6 4,2
% alunni con disabilità scuole paritarie / sc. non statali 69,0 93,8 58,8 38,6 72,1
Tav. 1 Totale alunni e alunni con disabilità: un quadro di sintesi – A.S. 2012/2013
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi – Servizio Statistico
scuola dell’infanzia, con una percentuale di alunni con disabilità in scuole non statali pari al
30,3% del totale degli alunni con disabilità. Quanto alla scuola primaria e secondaria, circa
il 94% degli alunni con disabilità frequenta scuole a gestione statale. Degli alunni con
disabilità frequentanti scuole non statali, mediamente circa il 69% si trova in scuole
paritarie.
Il grafico seguente mette a confronto la composizione percentuale degli alunni in
totale e degli alunni con disabilità per gestione: l’86,5% del totale degli alunni e il 92%
degli alunni con disabilità frequenta scuole a gestione statale. Quanto al dettaglio della
gestione non statale si osserva che le scuole paritarie accolgono l’11,6% del totale degli
alunni e il 5,5% degli alunni con disabilità. Le scuole non paritarie accolgono l’1,9% del
totale degli alunni e il 2,5% degli alunni con disabilità.
fonte
http://www.istruzione.it/allegati/integrazione_scolastica_degli_alunni_con_disabilita.pdf
allegato
L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è sempre attuale e non scevra da numerosi problemi ancora non risolti.
L’inserimento di questi alunni nella scuola del nostro Paese, avviato ormai da molti anni, non sempre è diventato sinonimo di integrazione che, per essere intesa come fattore di qualitàdella scuola e dell’intera società (anche perchè ne viene coinvolto tutto il contesto nel quale è inserito l’alunno con disabilità, da quello scolastico a quello sociale), esige progettualità e pianificazione quali presupposti necessari per qualsiasi lavoro di rete.
I vari tentativi metodologico-didattici di individualizzare e personalizzare l’apprendimento si sono spesso rivelati non producenti sul piano della socializzazione; viceversa, quando si è privilegiata la dimensione della socializzazione, i risultati sono stati deludenti sul piano dello sviluppo delle abilità cognitive.
Il processo d’integrazione esige la convergenza del principio didattico della personalizzazione con quello della socializzazione, nel quadro di progetti comuni ben definiti e di figure docenti che devono possedere competenze relazionali ed affettive oltre che disciplinari.
Nel processo d’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità, ciò che conta è che le persone che intervengono nella relazione educativa si sforzino di cercare e fornire risposte a quelle che possono essere i suoi “bisogni specifici”, nella classe e nella scuola che frequenta, non dimenticando che è “persona integrata” quella persona che, con un suo posto nel gruppo, conserva la propria identità diversa dalla altre, la propria diversità quale caratteristica peculiare del modo di essere persona.
La consuetudine di far fare all’alunno con disabilità attività spesso diverse dal resto della classe o, peggio ancora, di portarlo quasi sempre fuori dall’aula della sua classe, certamente non aiuta il vero processo di integrazione. Ciò vuole anche significare che la didattica individualizzata non dev’essere fine a se stessa, ma dev’essere funzionale ad un progetto di rete ben definito.
Una didattica funzionale non può porre i contenuti delle varie discipline al centro del processo insegnamento-apprendimento. Essa deve intendere i contenuti come stimolo percepibile e utilizzabile da tutti gli alunni, nel quadro della convinzione socio-pedagogica che le “diversità”, ormai presenti in ogni classe, non sono “incidenti da normalizzare al più presto”, ma “occasioni”, condividendo il concetto, sempre più attuale, che “l’eterogeneità è la normalità”.
La consuetudine, poi, che l’alunno con disabilità necessita di un intervento specializzato che solo l’insegnante di sostegno può dargli, in quanto docente-specializzato, è fuorviante e genera confusione fra didattica e terapia. L’alunno diversamente abile non può essere ridotto alla sua disabilità e inserito per questo in un settore speciale che, in quanto tale, lo distoglie dal normale lavoro della classe.
Questo non significa sottovalutare l’esigenza educativa speciale dell’alunno diversamente abile; vuole invece sottolineare la necessità di agire all’interno di un progetto chiaro che preveda l’interazione degli interventi dei docenti curricolari e dell’insegnante di sostegno. In questa esigenza d’interscambio, l’insegnante di sostegno dev’essere considerato un docente che ha il compito prioritario di creare e mantenere validi i rapporti tra l’alunno disabile, i docenti e gli altri alunni della classe e della scuola.
Anche per questo l’insegnante di sostegno ha, oggi, nuovi e più impegnativi compiti in quanto non è solo di sostegno all’alunno con disabilità, ma lo è a tutto il gruppo classe, contribuendo a stimolare una reciproca collaborazione e, quindi, una funzionale integrazione. L’insegnante di sostegno, in altre parole, ha come compito anche quello di creare le condizioni ottimali per favorire la socializzazione e l’apprendimento, non solo dell’alunno con disabilità, ma, di tutti gli componenti il gruppo classe, considerato che l’apprendimento degli alunni non può prescindere dal contesto relazionale.
La stessa normativa vigente sottolinea più volte che il docente di sostegno è un operatore dei rete con il compito precipuo di favorire la comunicazione e la collaborazione con i colleghi di classe, con il dirigente scolastico, con il personale ATA, con gli alunni e con le persone dei servizi socio-sanitari.
L’integrazione scolastica dei “diversi” è anche un compito di tutti. Impegnarsi per la dignità dell’alunno con disabilità significa impegno tendente ad affermare il valore della persona; significa lotta per una società migliore nella quale ciascun membro possa cogliere in sè e negli altri un significato profondo che, nello stesso tempo, distingue e accomuna!
fonte
http://oltrelostretto.blogsicilia.it/la-scuola-e-gli-alunni-disabili-ancora-tanti-problemi-irrisolti/321260/